A cavallo del 27 gennaio, giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto e non solo, tra Pistoia e Pisa sono programmati due spettacoli per ragazzi virtualmente uniti da una parallela e simile coda di polemiche. In entrambi i casi, si sono sollevate le proteste di genitori cattolici spaventati a causa dell’ormai famigerata ideologia gender, petizione ideal-psicologica che, francamente, ancora non abbiamo capito quale recondito segreto o piano malvagio dovrebbe facilitare. Come se l’omosessualità fosse contagiosa, come se l’identità sessuale di ragazzi e ragazze potesse essere plagiata (come? «Uno regge e l’altro plagia», direbbe Corrado Guzzanti).
Il primo appuntamento è Bent, in scena al Teatro Verdi di Pisa giovedì 26 (l’abbiamo persino consigliato, zozzi che non siamo altro), per una matinée riservata alle scuole. La storia affronta il tema di una categorie di vittime dell’Olocausto quasi dimenticate, quelle che nei campi di concentramento erano marchiati con il triangolo rosa: gli omosessuali. Brivido: «le famiglie pisane (tutte tutte? anche quelle senza figli coinvolti?, ndr) chiedono che sia sospesa la partecipazione delle scuole allo spettacolo, poiché il contenuto dello stesso non appare adatto alla visione di un pubblico adolescente e si muove su temi delicati inerenti la sessualità e l’affettività su cui le famiglie non sono state adeguatamente informate e interpellate». C’è da dire che, almeno in parte, il comunicato ha ragione: sguardazzando i giornali e vedendo quel che succede qua e là, l’impressione che su temi quali sessualità e affettività le famiglie non siano adeguatamente informate è più che una certezza, ma, a quel punto, per citare Jean Genet o André Gide, la soluzione sarebbe la abolizione delle medesime.
Dite che il comitato Famiglia Scuola Educazione (settebello, primiera e carte) non ha letture tanto raffinate? Probabilmente avete ragione.
Torniamo a Bent: racconta la storia di Max, omosessuale in fuga dopo la Notte dei lunghi coltelli e destinato a Dachau. Nel campo di concentramento incontra Horst, e tra i due cresce una storia d’amore delicata, improbabile, disperata. Viste le polemiche, il direttore artistico Silvano Patacca ha invitato i genitori che desiderassero capire, senza essere pregiudizialmente prevenuti, ad assistere allo spettacolo su testo di Martin Sherman per la regia di Lorenzo Tarocchi. Si spera in una maggiorazione del biglietto proporzionale all’assurdità della protesta.
Altro spettacolo, polemica dello stesso gender: al Piccolo Teatro Mauro Bolognini di Pistoia è programmato FA’AFAFINE. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato ed interpretato da Michele Degirolamo. Recita serale per tutti giovedì 26 alle 21, matinée per le scuole il giorno dopo, alle 10. Il titolo riprende una parola della lingua delle isole Samoa che definisce coloro che sin da bambini non si identificano in un sesso o nell’altro. Tecnicamente si chiamano bambini genderfluid, ed è il caso del protagonista Alex, che vuol essere un bambino-bambina, finché un innamoramento arriverà a complicargli le cose. Uno spettacolo che sicuramente pone la questione dell’identità sessuale in modo problematico, ma non certo assertivo come alcuni temono. Invece, Forza Nuova, formazione politica di estrema destra con buffe derive ultracattoliche, minaccia di «distruggere violentemente» lo spettacolo (domanda sincera: come si va a distruggere uno spettacolo? La curiosità ci attanaglia) e un appello su CitizenGo scritto dai promotori del Family day chiede che il Ministero vieti alle scuole di partecipare alle repliche, perché si teme possa mettere in crisi l’identità sessuale dei bambini (come se questa fosse una cosa negativa).
Ed ecco che parte la raccolta firme anche dall’altro campo, in vista delle numerose repliche che, nei prossimi mesi, porteranno il lavoro di Scarpinato anche a Lucca. Peraltro, lo stesso spettacolo è già andato in scena in diverse occasioni, senza nemmeno dover guardare lontano: alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno (LU) e alla Città del Teatro di Cascina (PI). In quelle occasioni, evidentemente, forzanovisti e familisti si saranno distratti: magari stavano distruggendo un altro spettacolo. Arlecchino si mette, comunque, a disposizione per raccogliere i casi di bambini convertiti all’omosessualità durante queste repliche (ovviamente per guarirli).
Io, che sono Arlecchino, mi occupo di teatro, non di come o con chi gli spettatori impieghino (o vogliano impiegare) le loro zone erogene. Quello che so è che in teatro tutti gli spettacoli vanno in scena lecitamente e a prescindere dagli appelli pro e contro: sarà poi la sala piena o vuota, la risposta positiva o negativa (di chi l’ha visto) a decretare vita o morte di un’opera, il cui fulcro reale, e qui casca l’asino sempre e comunque, non è mai ciò che dichiara di raccontare, ma il come lo fa. Vallo a spiegare ai forzanuovisti, ai bigotti e ai comitati.