Rieccoci.
Come state? Vi manca il teatro?
A noi sì e, più che altro, l’idea di dover vivere in un mondo in cui la circolazione implichi indossare cosi sulla faccia poco ci sconfinfera, posto che, se diverrà obbligatorio, ci adegueremo.
Torniamo, anzi, proviamo a parlare di teatro: pure in un momento come questo, di cose da dire ce ne sono e sarebbero. A partire dallo strisciante, neanche troppo, ritornello che ci pare sentir echeggiare qua e là sull’esigenza di pensare un nuovo modo di fare teatro, in riferimento all’impiego di video, allo sperimentare dirette via social network e via andare. Repertorio che ci par tipico di operatori tanto scarsi di fantasia quanto vogliosi di attenzione a buon mercato, un po’ confusi tra un corso d’aggiornamento sul marketing, una spruzzata di comunicazione e tanta, tanta fuffa.
Il teatro è teatro: tautologia solo in apparenza inerte, se si pensa che, da sempre, l’arte scenica è stata apertissima alla tecnologia, dall’antichità ellenica (la maschera greca era anche uno strumento di amplificazione sonora) alle commistioni contemporanee, tra video, motion capture e chi più ne ha, ne metta.
Detto ciò, pensare di rinnovare il teatro, ossia una roba nata da qualche millennio e che ci sopravviverà senza accorgersi del nostro passaggio, con due dirette web e a una qualche mal meditata orizzontalità rispetto al pubblico, ci pare opzione d’imbarazzante naïveté.
Ci verrebbe da dire che il teatro è quel numero incalcolabile di possibilità che si danno alla presenza di almeno un attore e almeno uno spettatore (chissà da chi la stiamo rubando), per rivendicarne al medesimo tempo l’indiscussa antichità e l’inusitata dimensione moderna.
Partendo da questo assunto, è ovvio che pure quanto vi abbiamo proposto nelle passate settimane è stato, di fatto, un surrogato. Perché il teatro in video non è teatro: è video, comunque la si metta.
All’interno di una sala scenica, la prospettiva visiva è quella dell’occhio dello spettatore (prospettiva quindi plurale, diversificata, costantemente condannata alla precarietà); in video, gli occhi “che comandano” sono quello dell’operatore (non importa se bravo o cosciente) e quello del montatore, che impongono (dittatorialmente) le proprie scelte, ossia il fuoco dello strumento di ripresa. Il video non è mai neutro.
Detto questo, per adesso, ci dobbiamo far bastare i video, e così abbiamo fatto e faremo ancora per un po’: passiamo, dunque, all’oggetto dei presenti consigliazzi, offerti pure nel presente caso in una forma sdottorazzata e monografica.
L’Italia è un paese strano, e su questo non ci sono dubbi.
Tra le molte, variopinte bizzarrie dello Stivale, ci sono senz’altro le contraddizioni alimentate dai soggetti istituzionali, le cui iniziative spesso non sono supportate come dovrebbero, ben al di là delle intenzioni originarie, talvolta ottime.
Occupandoci di quel che, più o meno, ci compete, applichiamo questo discorso al meritorio quanto volitivo Dantedì, ossia la celebrazione del 25 marzo quale giornata da dedicare alla memoria di ser Durante di Alighiero degli Alighieri, considerabile (dal nostro minimo, concordiamo) come il poeta più importante di tutta la letteratura in lingua di sì.
Prendiamo la Regione Toscana, organo che governa l’area ove il Sommo nacque e passò gran parte della vita, al netto dell’esilio: in occasione della sopracitata ricorrenza, sul canale YouTube dell’ente, sono stati caricati alcuni contributi realizzati per l’occasione, il che ci pare cosa buona, giusta e interessante. Tralasciamo, per quanto ci riguarda più strettamente, quelli professorali, ossia rilasciati da docenti universitari, studiosi, autentiche “miniconferenze in video” d’argomento dantesco.
Ad attirare la nostra più puntuta attenzione sono, piuttosto, le due playlist d’ambito teatrale. La prima ha come titolo Dantedì 2020 Teatro, ed è composta da tre contributi: un intervento di Federico Tiezzi sulla prossima ripresa del progetto La Divina Commedia, già portato in scena nel 1990; una breve lectura Dantis di Sandro Lombardi e, infine, un profilo storico offerto da Rodolfo Sacchettini che traccia la presenza di Dante e della sua maggiore opera nell’ambito del teatro italiano novecentesco.
La seconda playlist ha per titolo Dantedì 2020 Residenze Artistiche Toscane e raccoglie 28 brevi contributi danteschi, da parte di altrettante realtà sceniche operanti nella regione.
Vi invitiamo a vederle entrambe (la durata è di circa 30’ cadauna, per un totale di un’oretta): attraverso la nostra rivista proviamo a diffondere contenuti che, una volta realizzati, andrebbero anche spinti un po’, cosa che, inspiegabilmente, non viene fatta dalla stessa istituzione che li ha commissionati. E questo ci colpisce, perché ci ricorda, per esempio, la grande difficoltà che si incontra, generalmente, nell’informarsi circa gli spettacoli in programma settimanalmente nei teatri toscani. A che pro finanziare spazi e spettacoli se, poi, non li si supporta davvero nel rendere di dominio pubblico in modo organizzato la loro programmazione?
In questo senso, il nostro caparbio Calendazzo si candida(va) apertamente a colmare la falla, ma, ça va sans dire, fare in modo che tale strumento possa ambire a ritenersi esaustivo richiede tempo, risorse e un’organizzazione un filo più compiuta di quella di una rivista volontaria.
Riflessioni che ci par giusto avanzare, posto che, adesso, lasciamo spazio alla Comedia (l’attributo Divina è un’aggiunta successiva, da parte di Giovanni Boccaccio), in particolar modo dell’Inferno, augurandovi buona visione e rimandandovi, in un secondo momento, alla lettura di uno speciale, specialissimo sguardazzo.
Ci sembra di vedervi che non state nella pelle.