Cari lettori, umani e non, ci siete ancora?
Tra un lockdown e una quarantena, tra decreti e green pass, io, che sono Arlecchino, mi sono disorientato, e per un po’ ho faticato a ritrovare l’equilibrio.
I palcoscenici si sono abbondantemente impolverati, e così pure le penne di chi, in mio nome, ha scorrazzato qua e là per i teatri, prima che accadesse quel che sappiamo: il confinamento, è ben noto, ha il suo fascino, e la “sindrome da capanna” non ha risparmiato nessuno, compreso me. Così, tra una calda coperta di pile, massicce dosi di film e serie (ma non il catafatico “Netflix della cultura” paventato dal ministro – scusate il termine – Franceschini), collegamenti video e riunioncine, ho percepito il raggiungimento di quella “zona di conforto” che, da un altro punto di vista, avrei fatto pure bene a fuggire. Quasi non mi sono avveduto delle rassegnine estive, delle timide riaperture, dei concertini, che, d’improvviso, ecco che gli spazi scenici riaprono davvero.
Io, che sono Arlecchino, non posso che farmi attrarre dalle luci dei teatri come le falene dai lampioni. E, una volta scivolato in platea, proprio non riesco a starmene buono: a fine spettacolo mi vien voglia di alzare la voce, e pretendo persino che qualcuno mi ascolti. Talvolta voglio elogiare l’opera a cui ho partecipato (è forse il senso di partecipazione, la condivisione di uno spazio e di un tempo, nella volatilità della singola performance, a rendermi il linguaggio teatrale così caro), e di tanto in tanto mi ritrovo invece a testa in giù, livido di disappunto, mentre cerco di dar voce al mio scontento. La tranquillità mi sfianca: bramo l’irrequietezza che nasce da esperienze (non solo estetiche) complesse, quelle che facciano venir voglia di bisticciare con regista, attori, e vicino di poltrona.
Torno dunque a ragionare di teatro, con peraltro un nuovo e coloratissimo sito, e me ne infischio se leggere me e i miei scagnozzi non vi mancava affatto.
Quanto al resto, pandemici o polemici che ci si voglia, davvero ne cale ben poco: ché ogni giorno è pur sempre un passo verso il buio del palcoscenico finale. Nell’attesa che si vada in scena, quindi, non mi resta che scriverne.